Ludovico Calchi Novati: un caro amico, un grande artista.

Ludovico Calchi Novati, fotografia di Giacomo Nuzzo

É mancato un caro amico e un grande artista: Ludovico Calchi Novati.Lo voglio ricordare, insieme a Gabriella e a tutti gli amici di “Scoglio di Quarto”, con un mio racconto tratto dal libro Spigolature, Vita – Arte – Racconti, che ho potuto scrivere grazie anche alla benevolenza di Ludovico che lo ha approvato prima che venisse pubblicato. Grazie Ludovico, dipingi una parte di cielo per noi.
Stefano Soddu

 

LUDOVICO CALCHI NOVATI
Sono nato nel 1931 a Milano in via Correggio in una famiglia che via via è diventata
molto numerosa con la nascita di 8 figli. Io, terzogenito, ma primo di quattro maschi,
ho sempre avuto un carattere molto riservato e un po’ chiuso e malinconico. Mia
mamma era casalinga e curava la famiglia sebbene aiutata da domestici; papà era
ingegnere tessile con la laurea al Politecnico di Milano e per motivi di lavoro ci
trasferimmo per un breve periodo a Crema: avevo un anno e ne ricordo ancora la
casa, con una grande scala che portava al primo piano. Poi papà ebbe l’incarico di
dirigere il Linificio e Canapificio Nazionale con stabilimento a Vimercate. Abitavamo
in una grande villa – tre piani affianco alla fabbrica – che occupammo per ben
ventidue anni. Qui passai la mia infanzia, la mia adolescenza e giovinezza. In tempo
di guerra ospitavamo una famiglia di sfollati a cui venne dato il terzo piano.
D’inverno c’era molto freddo poiché mancava carbone per il riscaldamento e ci
adattavamo ad abitare in poche stanze, solo quelle che potevamo riscaldare. C’era la
guerra quando mi iscrissi al liceo scientifico di Monza e ogni giorno, per arrivarci,
prendevo due tram e poi, eliminati questi a causa del conflitto (più di una volta
dovemmo scendere dal tram e buttarci per terra nei fossi per i mitragliamenti dagli
aerei americani), facevo a piedi cinque chilometri in andata e altrettanti al ritorno,
sia col tempo buono che col tempo piovoso o con il gelo: il terreno innevato allora
era frequente durante l’inverno.

Durante il liceo mi piaceva disegnare con i gessetti: paesaggi, vedute da cartolina,
mare in tempesta, rive dei laghi e barche. Insomma un repertorio nelle tradizioni
pittoriche ottocentesche. Avevo 16, 17 anni quando fui invitato per la prima volta ad
esporre i miei lavori. L’esposizione, una collettiva di giovani artisti locali, si tenne a
Vimercate. Mi feci crescere giovanissimo anche i baffi che non ho più tagliato:
aiutavano la superare la mia timidezza. Nessun essere vivente oggi al mondo mi ha
mai visto senza.
Nel dopoguerra mi iscrissi al Politecnico di Milano alla facoltà di ingegneria
(trasporti, strade, ferrovie). Frequentavo il primo anno quando, non avendo voglia
quel giorno di frequentare le lezioni, andai a fare una passeggiata in centro. Nel
passare in via Palestro vidi, sulla facciate della Villa Reale, un grande manifesto che
pubblicizzava una mostra di Matisse, per me autore sconosciuto: rappresentava un
volto di donna con le labbra verdi. Ebbi una folgorazione. Mi apparve come novità
assoluta tale da farmi rivedere tutti i miei concetti sull’arte e sulla pittura. Iniziai ad
acquistare libri dedicati all’arte e a studiare i maestri classici, antichi e moderni.
Divoravo libri sull’impressionismo, su Michelangelo, su Caravaggio e molti altri. Non
mi accontentavo di leggere e di imparare ma, comprati colori ad olio, rifacevo, come
copista, i dipinti che più mi affascinavano. Iniziai anche a frequentare le gallerie
d’arte. Un giorno, passando in via Manzoni, entrai nella Galleria Gussoni, allora
molto nota. Esponeva e doveva inaugurare in quello stesso giorno una mostra di
quadri di piccole dimensioni, tutti di autori noti, tra cui De Pisis, Tosi e De Chirico.
Avevo sottobraccio un mio piccolo quadro e, preso coraggio, chiesi al gallerista se lo
poteva guardare. “Mi spiace, sarai anche bravo, ma ho già allestito”. Stavo per
andarmene deluso, avevo fatto molto sforzo su di me per farmi avanti, quando
sentii che mi richiamava: “Fammelo vedere, avanti…..Bello!!!. Di sua mano spostò a
destra un Carrà, a sinistra un De Pisis e in mezzo collocò il mio quadro. Ero
emozionatissimo e tornai a casa come se volassi. Questo fu il mio vero esordio.
Laureatomi in ingegneria affiancai la professione di ingegnere con quella di pittore.
Nel 1961 mi sono sposato con Anna , con cui ho superato i 55 anni di matrimonio.
Nel 1962 nacque mia figlia Silvia, nel 1965 Stefano.
Negli anni Sessanta nella mia pittura predominano i paesaggi di città: agglomerati di
case senza abitanti. Un po’ ossessivi e malinconici nella loro assenza di vita. Poi,
influenzato dalla pittura della scuola americana che arrivava da New York
(soprattutto, e tra altri, quella di Kline e Rothko), iniziai ad astrarre dal paesaggio i

miei segni e a stendere il colore per campiture. I colori erano sempre di tono non
acceso: neri, marron, verdi con qualche accenno di giallo e rosso. L’evoluzione di
quella pittura giunge fino alle mie più recenti tele in un processo continuo di
complicata elaborazione e semplificazione.
In parallelo sentivo il bisogno di manipolare la materia: usavo soprattutto il das per
la sua facilità di utilizzo e la sua consistenza: conservo centinaia di figure
antropomorfe ed astratte, che vengono fuori quasi automaticamente dalle mie
mani.
Negli anni Novanta ho scoperto le scatole di cartone che utilizzavo aperte da sole o
applicate sulle tele essenzialmente per due ragioni: mi obbligavano al rigore formale
e nel contempo davano tridimensionalità e spessore al quadro.
Affrontavo anche saltuariamente la scultura; utilizzavo di preferenza materiali
poveri: tubi di cartone, corde con cui imprigionavo, per creare una vera costrizione,
vari materiali di diverse geometrie. Trascorrevo nel mio atelier molte ore tutti i
giorni. Dal 1985 occupo un grande spazio in via Pestalozzi, dove ancora oggi passo le
mie giornate tra dipingere, scolpire ma anche leggere d’arte e approfondire
argomenti che mi interessano dal punto di vista intellettuale e culturale. In questo
posto conservo oltre il mio archivio e le opere anche delle mie piccole collezioni:
testine e ritratti in terracotta, pietra e legno, oggetti di cui ho iniziato la raccolta per
qualche eventuale utilizzo futuro non ancor messo a punto o ben chiaro. Su un
tavolo da alcuni anni conservo le ossa sbiancate in lavapiatti degli ossi buchi alla
milanese che ho mangiato e di cui sono particolarmente ghiotto. Espongo nel mio
spazio anche mostre di amici artisti. E’ un’attività che mi costringe ad un utile
confronto.
Durante il fine settimana amo andare in campagna dove ho acquistato quasi
cinquanta anni fa una casa: è sulla collina di Scipione Castello sopra Salsomaggiore.
Lì trovo la mia pace e serenità tra il verde di una natura ancora ben conservata. La
mia malinconia si placa nei tramonti e nei suoni silenziosi della campagna
circostante. La chiesa di San Silvestro accanto a casa mia scandisce le ore con un bel
suono di campane; con il parroco, Don Roberto, amante dell’arte, collezionista e
critico raffinato, imposto grandi discussioni sorseggiando alla sera un bicchiere di
buon vino locale.

Ci sono, anzi c’erano, altre due persone particolarmente importanti per la mia vita e
attività d’artista. Uno è Libero Formenti, mio grande amico fraterno e stampatore
raffinato di grafica d’arte. Da lui, presso la sua officina di via Brera dove aveva
installato i suoi torchi per la stampa a mano, con gli anni ho creato numerosissime
incisioni, litografie e acqueforti. Fu lui che mi presentò Zita Vismara che allora aveva
la sua galleria in via Brera al 30 e con la quale ho iniziato ad esporre fin dagli anni
Ottanta. L’ultima mostra allestita nella sua galleria, nel frattempo trasferita in via
San Marco, fu nel 2006, poco prima della sua scomparsa. Con lei avevo un rapporto
di stima reciproca e partecipavo alle sue iniziative; partecipavo con lei alle fiere
nazionali e internazionali. Promuoveva la mia arte con competenza e mi stimolava
da vera amica a appassionata d’arte.
Proseguo il mio lavoro sempre con grande impegno e passione e non mi stanco mai
di dipingere; studio e ricerco suggestioni sempre nuove; mi sento giovane e pieno di
creatività. Non smetterò mai di essere artista, e continuerò nella mia strada di
pittore fino a quando Dio vorrà.

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