Giovanna Strada. L’opera e il luogo

Dal 9 al 31 maggio 2006
Giovanna Strada
L’opera e il luogo
arte contemporanea, personale

 

vernissage: 9 maggio, dalle ore 18,00
catalogo: con testo di Alberto Veca
orario: martedì a venerdì dalle 17 alle 19,30 o per appuntamento

L’opera e il luogo, dove sono protagonisti andamenti orizzontali e verticali della figura – dinamiche elementari del comporre un’immagine -, un modulo che, se iterato, determina la frammentazione in segmenti di una linea continua o di un campo – e questo se vogliamo è aspetto più complesso, storicamente acquisito ma non immediato -, l’effetto di ritmo che la composizione suggerisce – il riferimento musicale è più stringente di quanto non possa essere una semplice analogia -, anche la sua ampiezza fisica rispetto allo sguardo da un punto di stazione fisso, come al movimento che l’osservatore deve fisicamente realizzare per “prendere possesso” dell’oggetto.
In esposizione in questa circostanza i risultati di un lavoro che parte da una fase progettata al tavolo da disegno, tradotta in un modello, fino alla realizzazione operata con ineccepibile abilità – un dato di nevralgica importanza una volta si operi in questa logica – in una scala dimensionale che diventa l’ultimo ma non insignificante tassello della vicenda.
Anche nel ciclo più recente di lavoro di Giovanna Strada, infatti, emerge perentoria la vocazione ambientale delle opere, capace cioè di impegnare l’ingombro effettivamente occupato e la fisionomia che la figura assume rispetto allo spazio circostante: uno sguardo alla logica costruttiva dell’opera ma anche al suo essere volume nello spazio, dove il “vuoto” della parete diventa assolutamente significativo rispetto al “pieno” dell’oggetto.
Una soluzione plastica non è mai “a se stante”, anche se corredata da più o meno evidenti cornici: Strada, per inciso, si pone all’opposto dell’atteggiamento di concentrare “all’interno” del campo la propria attenzione perché tende, invece, a percorrere da un estremo all’altro dell’opera sconfinando necessariamente nel vuoto circostante, mettendo in essere una relazione aperta fra la propria “frase” plastica – si accetti la metafora perché di lingua si parla – con l’ambiente: per inciso avrei voluto scrivere queste impressioni a installazione avvenuta per il valore determinante del dialogo fra luogo e opera.
Si tratta in effetti di una costante nell’operare, coerentemente attento a cogliere una figura, se vogliamo un pieno, definibile solo in relazione con un vuoto, sia quello del bianco del fondo della tela o del muro non importa che nelle ultime opere raggiunge una efficace essenzialità, frutto non tanto di una semplificazione – strada possibile ma di ridotto spessore – quanto di un voler concentrare l’attenzione, senza disturbi o elementi accessori, sul senso nevralgico del fare.
Il linguaggio adottato in un complesso ciclo di lavori vari per esiti ma sostanzialmente legati alla medesima logica operativa, è quello dell’identificazione di un modulo regolare di partenza diversamente replicato che presenta, in modo esclusivo, dal punto di vista cromatico l’opposizione elementare del bianco/nero: se vogliamo la riduzione del principio costruttivo alle sue figure di base: potrebbe apparire una “scelta” che mortifica l’espressività dell’artista ma la sfida è quella di raggiungerla anche attraverso strumenti apparentemente impersonali, come impersonale può essere interpretato un singolo suono, ma che diventa personale nella sua interazione con gli altri.
Ho evidenziato il termine “scelta” perché mi sembra opportuno sottolineare la decisione di Strada di convogliare in un linguaggio “chiuso” la propria idea plastica, laddove il linguaggio delle arti plastiche, oggi ma anche ieri, sembrerebbe dominato dall’occasione, dalla scoperta di un “soggetto” capace di attrarre, quindi di definire, episodio dopo episodio, strumenti e linguaggi. Per personale atteggiamento ritengo legittimo tanto partire da una tela o un foglio di carta vuoti quanto definire precedentemente gli elementi in gioco e provare a farli “agire” su una superficie o nel volume: non a caso nei recenti lavori dell’artista un rigoroso andamento lineare dell’opera si è tradotto in una estensione del campo, evidenziando una sintassi complessa, dall’antitesi alla specularità, altrimenti latenti, meno evidenti nella precedente indagine.
L’importante è essere coscienti delle esperienze che sono alle spalle dell’uno come dell’altro atteggiamento. Posso dire che, paradossalmente, proprio quando si “gioca” con un numero ridotto, preventivato, di soluzioni, il processo comunicativo sembra essere più trasparente, una volta entrati nelle regole decise, anche eloquente perché non vi sono altre soluzioni possibili se non all’interno delle regole decise.
È indubbio che il modo di procedere di Strada, dal progetto alla realizzazione dell’opera, appartenga alla storia della ricerca artistica che prende le mosse dalle Avanguardie storiche del secolo scorso dalle soglie inaugurali al rinnovamento operato dalla ricerca inoggettiva a cavallo fra gli anni cinquanta e sessanta; che parlare, appunto, di “moduli”, della loro iterazione, traslazione e rotazione fino a comporre una figura complessiva, sia un patrimonio acquisito, nell’ambito della ricerca artistica come del design; altrettanto vero che il modo diverso con cui queste ricerche si paragonano oggi con le altre, concorrenti, diverse o antitetiche non importa, ne determinano una “diversa” lettura”. E sembra altrettanto evidente come qualsiasi linguaggio abbia, oggi più di ieri, una storia da cui prendere le mosse e con cui paragonarsi: il problema è eventualmente quello di averne coscienza, la consapevolezza di un passato perché il ”nuovo” possa presentarsi maturo e non sfrontatamente o ingenuamente ammantato dall’alone dell’eccentrico o del sorprendente, a mio avviso criteri scarsamente convincenti. Diversamente la consapevolezza di ciò che si è ricercato permette a Strada un’ulteriore incursione sul tema: credo sia un dato importante da registrare.

Alberto Veca
Milano, marzo 2006

Foto di Grazia Ribaudo

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